La Galleria di Arte Moderna di Roma dedica una grande mostra ad Osvaldo
Peruzzi. L’artista nacque a Milano, nel 1906, ma dopo un anno la sua
famiglia tornò a Livorno dove gestiva una grande vetreria. Il giovane studiò
fino a conseguire la laurea in ingegneria, e contemporaneamente sviluppò
un amore per la pittura italiana più innovativa: il Futurismo.

Il movimento
continuò ad alimentarsi alla fine del primo conflitto mondiale, dopo avere
avuto tra gli ideali anche la guerra, definita “Unica igiene del mondo”, frase
che campeggiava sul manifesto ufficiale del movimento. Dopo l’esito
drammatico di quella stagione di sangue, i futuristi abbandonarono l’anelito
alla violenza come strumento di progresso, sviluppando tematiche più
aderenti all’emancipazione industriale del paese. Le fabbriche fumanti, le


rivolte operaie, e il sogno di un futuro sociale più equo, divennero il centro
dei loro interessi. Per molti anni nel dopoguerra i maggiori protagonisti del
movimento furono associati al Fascismo (seppure alcuni di essi non
disdegnarono di esaltarne i valori) e gli americani fecero incetta a basso
costo di molti dei loro capolavori. Peruzzi è considerato uno dei padri della
componente “Aerospaziale”, ispirata politicamente più ai sogni del volo
infinito di Gabriele D’Annunzio, che a quelli bellicistici Mussoliniani.


Nell’esposizione, quella particolare visione pittorica è definita “Splendore
futurista.” Si tratta di una sorta di poetica della conquista del Cosmo con i
modesti mezzi dell’epoca, quasi un preannuncio di quello che dopo pochi
decenni sarebbe esploso come un fenomeno spaziale inimmaginabile. Il
tema era talmente spirituale da non disturbare il regime, impegnato ad
ottenere conquiste molto più terrene, soprattutto in Africa e in Europa. I
dipinti di quel periodo, presero spunto anche dal lavoro del più importante
esponente della nuova corrente: Enrico Prampolini. Peruzzi aggiunse una
sua particolare propensione anti geometrica, affiancando all’ innegabile
proprietà di ottimo disegnatore un morbido utilizzo del colore, creando
forme poetiche e quasi oniriche recuperate dai Macchiaioli. Egli li conosceva
ed apprezzava, essendo cresciuto nella città toscana in cui si sviluppò
l’importante movimento ottocentesco.
Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, l’artista partì per il fronte, con
il grado di sottotenente. Nel 1943, dopo l’armistizio, fu fatto prigioniero
dagli americani, come Alberto Burri, e trasferito in un campo di
concentramento statunitense. Nonostante la condizione di internato, ebbe
la possibilità di continuare a dipingere e di esporre le sue opere in alcune
mostre. Nel 1945 ritornò in Italia, dove decise di continuare la sua opera
creativa e dirigere la vetreria di famiglia a Livorno. Il pittore, considerato nel
passato come un interprete minore della stagione futurista, è stato
giustamente rivalutato in anni recenti.
Alla Galleria d’Arte Moderna di Roma. Aperta sino al 15 ottobre 2023

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