Un tremendo terremoto, nel 1968, colpì il Belice, in provincia di Trapani. Alcuni paesi
vennero completamente distrutti, i morti e i feriti furono molti e centomila persone
rimasero senza una casa. Dopo il disastro, Gibellina fu ricostruita alcuni chilometri più in
basso, dando luogo ad un’operazione unica e forse irripetibile in Italia: chiamare i


migliori artisti ed architetti per un gigantesco progetto che includesse le case per i
superstiti ma anche una sorta di museo diffuso che prese il nome di “Gibellina Nuova”.
All’ingresso della città la “Porta del Belice” di Pietro Consagra: un gigantesco arco
multiplo, che simboleggia un immaginario fiore etereo, fornisce respiro al paesaggio
collinare aspro e ferito. Poi lo stupore non può che assalire il visitatore che, di fianco a
una schiera di case dall’architettura modesta e quasi anonima, scoprirà opere dal
grandissimo valore artistico: la “Chiesa Madre” di Ludovico Quaroni, avveniristica e
quasi lunare; nella grande piazza del Comune, progettata da Vittorio Gregotti e Giuseppe
Samonà, la Torre di Alessandro Mendini, dai tratti pop. Le colorati sporgenze superiori,
danno l’idea di essere gli stabilizzatori di una enorme gru da lavoro. Ma l’opera più
impressionante è sicuramente “Il Sistema delle Piazze”, progettate da Franco Purini e
Laura Thermes. Sono quattro vaste aree in linea, dai nomi dolenti: “Piazza della Rivolta
del 1937”; “Piazza dei Fasci dei lavoratori”; “Piazza Monti di Gibellina” e “Passo Portella
della Ginestra”. E’ un affascinante distesa all’aria aperta, fuori dal contesto strettamente
urbanistico, da vedere per la sua spettacolarità che evoca un infinito dipinto metafisico
tridimensionale.
Dopo una visita a quell’immenso museo contemporaneo, bisogna salire sulle brulle
colline per raggiungere “Gibellina Vecchia”, che il terremoto rase al suolo senza pietà.
Passato il camposanto, dove sono state sepolte anche le vittime della tragedia, si
comincia a vedere una macchia bianca, che prelude all’opera della Land Art più grande al
mondo: il “Cretto di Burri”. L’artista ha tracciato le vie della piccola città dove erano
originariamente, creando un vasto sepolcro sopra le macerie, che si può percorrere

come in una processione spirituale, con la commozione nell’animo inevitabile.
Personalmente, prima di visitare il Cretto, avevo dei dubbi sull’opera. Credevo che quella
enorme colata di cemento deturpasse il paesaggio placido e disabitato dei dintorni. Di
fronte a quel segno simbolico del disastro, ho capito la forza dell’intento. E’ stata la
natura stessa a violentare quelle case e l’immenso monumento ne è solo una


testimonianza. Camminare sulle spoglie di un intero paese lascia senza fiato. Per chi ama
l’Arte e la Sicilia, penso sia indispensabile inserire Gibellina tra le mete più importanti da
raggiungere.

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