“Cala queste ceneri e cerca tra l’universo, raccogli polvere di stelle per me” così scrive Ilaria
Petriglia nel suo “Baratri tiburtini”(L’Erudita, 2022 pp. 58 € 16.00). La sua opera poetica è un
significativo esordio, una affascinante esposizione di contenuti esistenziali, una efficace raccolta di
versi, espressi nel contesto discordante e divergente dei sentimenti umani. Ilaria Petriglia riproduce
un incantevole scenario in cui l’umanità dipinge la propria prospettiva d’identità attraverso
l’evocazione di un paesaggio autentico, accoglie l’invito della natura a preservare la bellezza della
città di Tivoli. La poesia restituisce l’ispirazione visiva nelle immagini celebrative del meraviglioso
anfiteatro Colli Aniene, luogo di infinita suggestione e spirito del mondo. La poesia di Ilaria
Petriglia riferisce l’incastro del tempo nelle riflessioni sensibili, dichiara le proprie esperienze
vissute con la consapevolezza della percezione del precipizio emotivo, trasmette la resistenza
elegiaca a ogni proiezione interiore, oltrepassa il concetto ostile dell’abisso, interpreta l’intuitiva
capacità di valutare e possedere la materia della redenzione morale. “Baratri tiburtini” varca
l’accentuata e inevitabile instabilità della condizione umana, incrocia la desolazione della fragilità,
incoraggia a sostenere le difficoltà e a coltivare la cura. Descrive la validità del riscatto, illustra
l’estensione delle certezze, spiega la volontà di risvegliare il carattere umano per ravvivare
l’inclinazione della congiunzione relazionale. La parola poetica eleva una intonazione profonda in
un’intesa con l’ordine naturale delle cose, con l’equilibrio empatico delle sensazioni, contro
un’attualità danneggiata dalla sostanza vertiginosa e tortuosa della solitudine. I versi di Ilaria
Petriglia ricompongono la superficie dell’inchiostro, oltrepassano l’elemento scritto e trasmettono la
libertà salvifica del pensiero, plasmano la finalità di dare voce ai sentimenti dell’io poetico,
accostano l’immediatezza letteraria del linguaggio alla persuasiva densità della sincerità, dilatano la
luminosità di una liturgia, valorizzata nella forma dell’unità distintiva delle preghiere di vicinanza.
Rivestono l’arte incisiva di ogni orizzonte, inseguono il traguardo delle possibilità, l’urgenza
purificatrice per reagire all’assenza e al dolore. Ilaria Petriglia analizza la fragilità e il
disorientamento degli uomini, profetizza lo specchio frammentario della propria drammaticità,
consegna al lettore l’occasione per ascoltare il sussurro dell’anima, per trattenere l’inafferrabile
consistenza del cuore, dischiude il respiro della speranza. Declina la valutazione dell’amore in tutte
le sue carismatiche e infinite sfaccettature, elogia l’esclusiva e protettiva dedizione nei confronti di
persone, familiari, luoghi che sostano nella nostra memoria, coniuga la magia degli incontri, nel
cammino della vita, con l’insistenza magnetica del ricordo, trasporta tra le pagine la ricchezza
iniziatica dell’energia universale. Abbraccia la condivisione della generosità, include,
all’incondizionato valore delle promesse, la gentilezza e la compassione dei desideri, accoglie, nella
combinazione del bene, la saggezza delle direzioni. Tratteggia il disegno del destino, conduce il
soffio vitale nel territorio privato della coscienza, ritrae il chiarore dell’amorevolezza nella
benevolenza della misura affettiva e ci insegna a mostrarci per quello che siamo.
Rita Bompadre – Centro di Lettura “Arturo Piatti”
https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/

Baratri tiburtini
Le parole caddero in silenzio
da una nuvola,
nei baratri tiburtini.
I pensieri desiderati si fecero spazio
in una teca trasparente
agganciati in due punti:
il cuore e la mente.
Proprio lì
tra una lama
e delle parole calandrate dal tempo
trovarono finalmente il loro interstizio.
(X) Il valore assoluto
Ho bisogno di me.
Di me che sto bene.
Di me che sto bene con me.
Forse allora potrò stare con te.
E amare per davvero l’indecifrabile.

Trabocco
Insieme siamo l’ago
di quel trabocco
quei bracci protesi sul fiume
e ancorati alla roccia.
Autunno
Guardar(si)
con lo stesso obiettivo di una foglia
accartocciata
e cercare oltre.
Avvolger(si)
tra le foglie indurite e
braccheggiare altrove
le lamine che mutano la propria sostanza,
dirigersi lì, lontano dall’essenza.
Lì in fondo c’è il dove.
C’è cosa.
C’è casa.

Due imperfette equivalenze
Stiro i miei panni sbuffati
tutte le sere e li consegno a te
afferro i sogni tra le pieghe sgualcite
mi illudo di essere illesa
e mi do a te
anche se la mia mente
ogni tanto sgattaiola altrove,
sto venendo – via
pronuncio parole vuote e stupide
rimango abbracciata a questi precipizi aerei
li contengo
intanto che il mondo ruzzola
come volontà e rappresentazione
spiaccicata sul primo gradino della nostra casa;
ritorno all’essenziale: io meno te.
Ho sete
di nuovi spazi ed eccessi
di cattive abitudini:
ho bisogno di due imperfette equivalenze.

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