per la rubrica: LiberaMente – Recensione a cura della giornalista pubblicista Ilaria Solazzo.

Rob Rensenbrink era il “gemello” mancino di Johan Cruijff, la stella dell’Olanda che per due volte sfiorò il titolo mondiale di calcio. Le somiglianze, però, si fermavano all’aspetto fisico e allo stile di gioco. Tanto Johan era ciarliero e portato a comandare quanto Rob taciturno e desideroso di farsi gli affari suoi. Il giornalista Jan Mulder, suo ex compagno di squadra, disse di lui: “Robbie Rensenbrink era bravo come Cruijff, solo che nella sua mente non lo era”. Il carattere introverso contribuì a fare di lui uno dei giocatori più sottovalutati di tutti i tempi. Ed anche più sfortunati, professionalmente. Il famoso palo colpito al novantesimo minuto della finale mondiale contro l’Argentina nel ‘78 rappresentò solo la punta dell’iceberg delle sue sfortune. Un destino da eterno secondo, da chi si ferma ad un passo dalla gloria e dalla fama imperiture. Johan Cruijff era solito ripetere: “Non credo che arriverà mai il giorno in cui, quando si nominerà Cruijff, la gente non saprà di cosa si stia parlando”. “La leggenda dell’Uomo Serpente” scritto da Faltoni vuole contribuire a tenere vivo il ricordo di un artista del pallone quale è stato Pieter Robert Rensenbrink.

Lo scrittore, in 137 pagine, ha voluto delinearne con passione la figura.
Ai lettori si presenta raccontando come gli anni Sessanta – in Italia e in Europa Occidentale – siano stati quelli di una forte rivoluzione nei costumi e nel modo di vivere, fatta dalle ragazze che accorciavano le gonne e dai maschi che allungavano i capelli, al ritmo della musica dei Beatles e dei Rolling Stones, mettendo, metaforicamente, i fiori dentro i cannoni. Gli anni Settanta sono stati i fratelli minori del decennio precedente, che aveva rivoltato il mondo. L’unica rivoluzione che restava da compiere era quella calcistica, magari portando alla ribalta una squadra e una nazione fino a quel punto meno note. Tra i protagonisti di questa novità, spiccano due ragazzi di Amsterdam, considerati la fotocopia l’uno dell’altro perché avevano entrambi occhi blu, naso importante, fisico slanciato e asciutto: Cruijff e Rensenbrink. Tanto simili che nel marzo 2016, nel dare notizia della scomparsa del primo, un quotidiano inglese pubblicò per errore una foto dei mondiali del ’74 nella quale era raffigurato… il secondo.

Con questo libro Faltoni intende contribuire a tenere vivo il ricordo di quello che considera un artista del pallone. Il migliore della sua epoca in quel ruolo.
Rensenbrink iniziò la propria carriera da professionista nel 1965 quando, a 18 anni, vestì la maglia del DWS Amsterdam, lesto ad anticipare l’Ajax nell’acquisto di questo promettente ragazzo di Oostzaan. Coi nero-blu della capitale rimase fino al 1969 quando il Bruges lo acquistò per 450mila fiorini.

Robbie Rensenbrink fu uno dei fuoriclasse della grande Olanda di Cruijff. Giocò e perse due finali mondiali, famoso il suo palo al 91′ contro Argentina nel 1978. In Belgio, con l’Anderlecht, ottenne grandi successi internazionali.

Rensenbrink, morto all’età di 72 anni, il 25 gennaio 2020, avrebbe potuto vantare un posto stabile nella leggenda il 25 giugno 1978. Al 91′ della finale mondiale di Buenos Aires contro l’Argentina padrona di casa, una sua conclusione ravvicinata eluse l’intervento dei portiere Fillol, ma si stampò beffardamente sul palo. Gli argentini quella partita la vinsero ai supplementari, e la grande Olanda, che 4 anni prima aveva perso un’altra finalissima (contro la Germania Ovest) si consegnò alla storia del calcio come la più bella delle incompiute insieme all’Ungheria del 1954. Restò parzialmente incompiuto anche Rensenbrink, che all’epilogo del 1974 (quando Cruijff c’era ancora e dominava la scena) a Monaco di Baviera era arrivato malconcio dopo la durissima gara precedente con il Brasile e dovette alzare bandiera bianca alla fine del primo tempo.

Se ne è andato per una atrofia muscolare progressiva che non gli ha lasciato scampo. Quarantasei volte nazionale olandese, per vincere molto emigrò in Belgio e non giocò mai per una delle grandi del suo paese. Il Bruges infatti lo prelevò dal DWS Amsterdam, ma fu nell’Anderlecht, dove approdò nel 1971, che vinse molto. Velocissimo, rapido nel dribbling e goleador affidabile, si guadagnò il soprannome di ‘uomo serpente’.

Con la squadra di Bruxelles vinse il campionato nel 1972 e nel 1974, quattro coppe del Belgio (1972, 1973, 1975 e 1976) ma soprattutto portò i biancomalva, prima compagine belga nella storia, a vincere a livello internazionale: due volte la Coppa delle Coppe: nel 1976 in finale contro gli inglesi del West Ham per 4-2 (gara nella quale realizzò una doppietta) e nel 1978 con il nettissimo 4-0 all’Austria Vienna (a segno altre due volte). Nel suo palmares, anche due Supercoppe Europee, vinte nella doppia finale contro Bayern Monaco (in gol nel 4-1 di Bruxelles, dopo la sconfitta 2-1 in Germania) e Liverpool (3-1 in casa, e ko 2-1 in Inghilterra). Una grande carriera che poteva essere perfetta se di mezzo, in quella notte argentina del 1978, non ci si fosse messo un palo.
‘Snake man’ faceva divertire i compagni di squadra, compiaciuti di averlo dalla propria parte, preoccupava gli avversari che se lo trovavano di fronte, perché il suo dribbling il più delle volte era letale.

Alcune storie portano alla luce l’essenza più autentica dell’essere umano, i sentimenti che ci guidano e gli istinti primordiali che inevitabilmente condizionano le nostre scelte. Questo sul calciatore orange è un libro da leggere almeno una volta nella vita.
Lo stesso Rensenbrink ha detto più volte “Meno di 5 centimetri e avrei modificato la storia del calcio. Sarebbe stato meglio se avessi sbagliato di molto, almeno nessuno si ricorderebbe di quel palo all’ultimo minuto. Ma se avessi segnato, magari avrebbero annullato il gol: doveva vincere l’Argentina”. Succede quando la politica si mischia con lo sport: ma non è un trofeo in più o in meno a fare grande uno sportivo.

https://www.youcanprint.it/la-leggenda-delluomo-serpente/b/f12f8b56-f04e-5705-8c44-d93425366106

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