Si è chiusa, nei giorni scorsi, una vasta mostra dedicata al pittore giapponese Katsushika
Hokusai (1760/1849) al Palazzo Blu di Pisa. L’affluenza dei visitatori è stata superiore ad ogni
aspettativa, tale da indurre i giornali locali a parlare di un successo strepitoso. Dopo aver
visitato l’esposizione, mi sono posto una domanda a cui cercherò di rispondere con il modesto
articolo che sto scrivendo.



Il quesito è: se non si fosse associato il nome dell’artista orientale
alle influenze che le sue opere hanno avuto sugli Impressionisti, ci sarebbe stata una tale voglia
di correre a vedere quella mostra? Obiettivamente, sarei indotto ad ammettere che non bisogna
vergognarsi di un tale proposito, tutt’altro! Prima di approfondire il legame tra Hokusai (capo
gruppo di una corrente giapponese che annovera diversi e articolati artisti, evidenziati nella
rassegna, vorrei fare una riflessione. Gli appassionati sanno l’influenza che l’Arte africana ha
avuto sulla rivoluzione stilistica picassiana. Esiste, però, un artista di quel continente capace di
attrarre in modo altrettanto vivace un grande pubblico in una eventuale mostra? No, perché il
pittore spagnolo si ispirò ad uno stile diffuso, popolare e non codificato, ingenerosamente
definito artigianale. Dunque, non vi è una figura in grado di focalizzare su di sé l’interesse della
critica e degli appassionati occidentali, come è accaduto a Pisa.
Hokusai è famoso per “La grande onda di Kanagawa”, iconica quanto “L’urlo” di Munch o “I
girasoli” di Van Gogh. Egli è stato, per larga parte della propria vita, soprattutto un povero
incisore xilografico, che ha dato prova di una abilità tecnica e artistica eccezionale. I colori
utilizzati nelle varie versioni dei soggetti, hanno creato dei veri capolavori. Al pari di quelle dei
suoi colleghi, le opere (riprodotte come multipli) venivano spesso utilizzate per avvolgere i
souvenir che gli occidentali acquistavano in Giappone o per corrispondenza. A Parigi, alcuni di
quei lavori furono apprezzati da pittori che cercavano nuove strade stilistiche. Ernst Gombrich
ha scritto: “le stampe giapponesi aiutarono gli Impressionisti ad allontanarsi dal peso della
tradizione europea e a compiacersi di quella orientale, che coglieva tutti gli aspetti più inconsueti
del mondo”. Monet arrivò a creare, nel suo giardino, un laghetto che riempì di ninfee e un
ponticello in stile giapponese. Eseguì una serie notevoli di dipinti, a loro ispirati, ancora oggi
conservati nel Museo Marmottan. Fu uno degli aspetti del cosiddetto “Giapponismo”, che
imperversò per alcuni anni in Francia ed in altre realtà europee.
Anche i Post Impressionisti si allinearono. Diceva Jan Hulsker (uno dei maggiori esperti di Van
Gogh): “Vincent ebbe modo di vedere quelle stampe piene di colore che tanto gli piacevano,
nelle case di amici e del fratello Theo…” Per un breve periodo, l’influenza orientale è evidente in
alcuni dipinti dell’artista olandese.
Il desiderio di trovare in Hokusai un precursore dell’Impressionismo, è sicuramente un
fenomeno da sottolineare. Sarebbe auspicabile che la ricerca delle contaminazioni tra le diverse
culture artistiche, mai totalmente autoctone, diventasse un rispettoso progetto di integrazione tra
le stesse.