Dall’11 aprile alla Galleria d’Arte Moderna la mostra Omaggio a Carlo
Levi. L’amicizia con Piero Martina e i sentieri del collezionismo
Il percorso espositivo ripercorre la carriera dell’artista torinese e la sua amicizia con
Martina attraverso alcune delle opere più significative dei due artisti. In chiusura, altri
diciannove dipinti inediti di Levi provenienti dalla Collezione De Lipsis Spallone
11 aprile – 14 settembre 2025
Galleria d’Arte Moderna
Roma, 10 aprile 2025 – In occasione del cinquantenario dalla scomparsa di Carlo Levi, la Galleria
d’Arte Moderna di Roma ospita, dall’11 aprile al 14 settembre 2025, la mostra Omaggio a Carlo
Levi. L’amicizia con Piero Martina e i sentieri del collezionismo, dedicata al lungo percorso
artistico del pittore, scrittore e intellettuale torinese, in rapporto al legame umano, intellettuale e
artistico intrattenuto con Piero Martina, pittore anch’egli torinese, sostenuto dallo stesso Levi sin dai
primi anni di carriera.
Alla base del progetto espositivo c’è la collaborazione tra la Fondazione Carlo Levi di Roma e
l’Archivio Piero Martina di Torino che ha permesso di ricostruire oltre tre decenni di sodalizio fra i
due artisti, basato sulle esperienze di vita condivise in ambito artistico politico e sociale (la battaglia
per un’arte europea, la dissidenza nei confronti del fascismo, l’approdo a Roma nel periodo della
ricostruzione post-bellica). Oltre sessanta opere provenienti dalla Fondazione Carlo Levi e
dall’Archivio Piero Martina, oltre che da importanti istituzioni culturali e collezioni pubbliche e
private, che, nonostante gli esiti espressivi in certe stagioni molto diversi tra loro, risultano
accomunate da un identico sguardo di umana partecipazione e dal desiderio di indagare senza
retorica la realtà del nostro Paese. Centrale nel progetto espositivo è anche il legame di Levi con
Roma, città dove visse stabilmente dal 1945 fino alla morte, e che rappresentò una fonte
d’ispirazione continua, oltre che luogo d’impegno civile da ritrarre come il simbolo di un’Italia in
trasformazione; una città dove volle attrarre, per una breve stagione, anche l’amico Martina.
A completare il percorso espositivo è la storia di un’altra amicizia, quella tra Linuccia Saba, figlia
di Umberto Saba e compagna di Carlo Levi, e Angelina De Lipsis Spallone, nota collezionista
romana che, dalla morte del pittore, ha arricchito la propria collezione privata (oltre 300 quadri) con
l’acquisizione di diciannove dipinti inediti di Levi, oggi finalmente visibili nella speciale sezione
di chiusura della mostra romana.
L’iniziativa è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza
Capitolina ai Beni Culturali, in collaborazione con Fondazione Carlo Levi, Archivio Piero
Martina e la Collezione Angelina De Lipsis Spallone. È curata da Daniela Fonti e Antonella
Lavorgna (Fondazione Carlo Levi) e Antonella Martina (Archivio Piero Martina) mentre la
sezione dedicata alla Collezione Angelina De Lipsis Spallone è curata da Giovanna Caterina De
Feo. Catalogo: Silvana Editoriale. Organizzazione Zètema Progetto Cultura. L’esposizione si
inserisce all’interno della programmazione, avviata nel 2024, con cui la Sovrintendenza Capitolina
celebra il centenario dell’istituzione della Galleria d’Arte Moderna (1925-2025).
IL PERCORSO ESPOSITIVO
Carlo Levi è un pittore già affermato quando, negli anni Trenta, il giovane Piero Martina si affaccia
sulla scena artistica torinese. Il legame tra i due si approfondisce in occasione della prima mostra
di Martina alla Galleria Genova nel 1938, presentata dallo stesso Levi che lo sostiene e incoraggia
nella ricerca di un linguaggio espressivo autonomo. Nella prima sezione dal titolo La formazione,
l’ambiente intellettuale torinese, sono poste a raffronto le opere rappresentative di questo
periodo, incentrato sulla cultura figurativa del gruppo dei “Sei di Torino” che Levi aveva contribuito
a fondare. Se le opere di quest’ultimo sono caratterizzate – dopo un avvio di figurazione dai volumi
netti sotto la luce (quasi “realismo magico”) – dall’approdo ad una pennellata morbida e avvolgente di
natura più sensuale (Le officine del gas, 1926; Lelle seduta con cappellino, 1933), la pittura di
Martina si rivela come uno schermo vagamente colorato e iridescente che nasconde le cose invece
di rivelarle (Interno dello studio con cappello, 1937, Figura con maschera, 1938, Ritratto di donna
con cappello, 1937).
La seconda sezione Da Torino a Roma: suggestioni, aperture e nuove ricerche accompagna
il visitatore nel passaggio dal periodo torinese, in cui il fascino discreto della loro città si rivela nei
ritratti di familiari e amici, nelle nature morte e negli scorci cittadini realizzati dai due artisti
(Tramonto con la Mole, del 1942, di Piero Martina), al periodo immediatamente successivo
caratterizzato dalla tragica incombenza della guerra e dai continui spostamenti dei due. Tra il 1934
e il 1938 Carlo Levi conosce diversi arresti e il confino in Lucania, la persecuzione della polizia
fascista e le leggi razziali che lo costringono a una vita di continuo nomadismo tra l’Italia e la
Francia. Ma non si interrompono le occasioni di incontro e confronto con l’amico, con il quale
condivide il comune senso di perdita a seguito del bombardamento delle loro case a Torino, nel
- In questo stesso anno realizzano l’uno il Ritratto dell’altro. Dalle atmosfere lievi e intimiste
dei primi lavori, nei primi anni Quaranta Piero Martina si avvicina ai linguaggi contemporanei più
antiaccademici (la Scuola Romana, ad esempio) e passa a un uso del colore più fermo e studiato
(Ragazza al clavicembalo, 1940; Rose e conchiglie, 1942).
Levi, invece, a partire dal suo confino lucano si lascia catturare dai temi del sociale
rappresentando la miseria dei contadini del sud Italia, abbandona le trasparenze del periodo
precedente per concentrarsi su strutture più robuste, dense e “ondose”, che definiscono uno
spazio percepito come mobile e trascorrente (Autoritratto con fornello, 1935 Tetti di Roma, 1951).
Dopo una breve parentesi fiorentina nel 1943 e l’esperienza alla Biennale del 1948, alla quale
entrambi partecipano, arriva un punto di svolta agli inizi degli anni Cinquanta quando Martina,
quarantenne, si stabilisce a Roma dove Levi risiedeva già dal 1945. Insieme frequentano i vivaci
circoli artistici della Capitale, centro nevralgico di un movimento di riconquista delle libertà
espressive sacrificate durante il ventennio e di energie convergenti da tutta Europa, nelle arti come
nella letteratura, nel cinema e nella fotografia. È La stagione dell’impegno civile – titolo della
terza sezione della mostra – che coincide con un momento di acuto confronto sociale nel paese e
con una fase di profonda consapevolezza nei due artisti, del ruolo degli intellettuali nei confronti
dei contadini e della classe operaia. Sono di questa fase, infatti, le opere più sperimentali di
Martina legate ai temi del lavoro operaio (La Tessitrice n.2, 1952, La manifattura tabacchi, 1956), e
la pittura scabra di Levi in cui ritrae le difficili condizioni delle classi subalterne e contadine del Sud
(Il Ragazzo Aleandro, 1952, Fratelli, 1953, Contadine rivoluzionarie, 1951).
Il lungo decennio della “ricostruzione” lascia il posto, negli anni Sessanta e oltre, a una ricerca più
personale da parte dei due artisti, lontano dal dibattito contemporaneo. La quarta sezione, Il
nudo e il paesaggio, temi coinvolgenti, accoglie alcuni lavori delle loro ultime stagioni pittoriche,
dominate da un orizzonte tematico simile in cui prevale un rinnovato interesse per la natura, un
vagheggiato Eden popolato da nudi e silhouette, antiche divinità e inattese apparizioni. Anche
questa volta, però, la resa pittorica è quasi all’estremo opposto: figure in primo piano, assottigliate
e indecifrabili, caratterizzano i dipinti di Martina, la cui pittura – sia che si concentri sulla
rappresentazione di paesaggi che su quella di nudi corporei – sembra ritrarsi dal fondo per apparire
come un connubio indissolubile tra luce e colore (come in Paesaggio meridionale, 1949 e Alberi e
Nudi nella vigna verde, 1961). Al contrario Levi sperimenta una materia densa e afosa,
rappresentazione di un mondo vegetale drammatico e onirico. I nudi e i paesaggi dai colori levigati
degli anni giovanili, lasciano ora il campo a opere complesse come Donne furenti del 1934 o Alberi
del 1964.
Conclude il percorso espositivo la sezione Le opere di Carlo Levi nella Collezione di Angelina
De Lipsis Spallone. Medico e amante dell’arte, Angelina De Lipsis Spallone (1926-2020) è stata
una collezionista dallo sguardo attento alla migliore arte nazionale e internazionale del suo tempo.
Fa parte di questa collezione un importante corpus di diciannove dipinti inediti di Carlo Levi,
esposti ora per la prima volta, acquisiti grazie all’amicizia con Linuccia Saba, figlia di Umberto e
compagna di Levi negli anni romani. La raccolta di opere leviane racconta quasi per intero il
percorso dell’artista: dagli esordi, con la Natura morta del 1926, il Piccolo nudo di poco successivo
o il giovanile Autoritratto in rosa del 1928, agli anni Trenta, segnati dall’esperienza dei “Sei di
Torino” (La Donna sul divano, il Ritratto sulla sedia a sdraio (Francesca) e la Donna col cagnolino)
e dall’influenza espressionistica su alcuni suoi lavori (La Raccoglitrice di Conchiglie, il Nudo di
Palazzo Altieri e una Natura Morta). Di questo periodo è anche Il Nudo di donna che reca sul
verso Donna con il cappellino, un intenso ritratto di Paola Olivetti. A seguire, si passa alla svolta
neorealista degli anni Cinquanta con il Ciclo della Lucania rappresentato dal dipinto La Madre, per
poi concludere la sezione con le ultime stagioni pittoriche degli anni Sessanta e Settanta
rappresentate dagli alberi e dalle vedute del Ciclo di Alassio (La Vigna, Il Paesaggio di Alassio con
falò, L’erpice e gli Attrezzi) e dai quadri della serie degli Amanti, un tema elaborato dall’artista già
negli anni Trenta e diventato molto ricorrente nell’ultimo ventennio del suo percorso, con i profili di
un uomo e di una donna che si fondono, unendosi in un unico abbraccio.